“Bioumanesimo di Puglia”, foto e storie nelle pagine del libro che racconta tradizione e identità della finibus terrae
Quando l’infiorescenza è matura, il giunco può essere raccolto. I giunchi più alti, destinati a trasformarsi in nasse da pesca o cestini per la frutta, vengono sottoposti al processo di torsione, la scissione delle fibre che li renderà più flessibili. Vengono bolliti, per diventare ancora più malleabili. Poi il sole asciuga le lamelle, che vengono infine selezionate, accorciate, raschiate. E appese “in stanze dove l’aria è intrisa dello zolfo che evapora dalle pentole”. Pronte perché qualcun altro, a sua volta, le intrecci, in un’orditura sottile e leggera. Un’ossatura resistente, un grande canestro per le olive. O un ventaglio. “In quella terra chiamata finibus terrae, dove la terra finisce e inizia il Mar Mediterraneo”, nel sud della Puglia, c’è ancora chi custodisce questo rito, una stilista di nome Anna Siciliano che è riuscita a reinventarlo e innovarlo “per tutte le donne che al mio paese sono state artiste, senza saperlo”. La sua storia è tra quelle raccontate in Bioumanesimo di Puglia. Storie di terre e di persone il libro fotografico curato dalla giornalista Melania Petriello e dalla fotografa Chiara Pasqualini, con testi scritti insieme a Stefano Martella, su iniziativa dell’assessora regionale all’Ambiente Anna Grazia Maraschio.
“Questo progetto nasce da un’esigenza recondita che avevo dentro da lungo tempo: quella di far emergere i mondi nascosti di questa Regione, le storie minime in cui risiede la potenza dei temi universali”, racconta nella postfazione Anna Grazia Maraschio. Il volume intreccia, proprio come Anna con il giunco, trame e orditi differenti, ma accomunati da un’unica tensione: quella dell’uomo verso la natura, e della natura verso l’uomo. Un ‘bioumanesimo di Puglia’, appunto, un termine che Maraschio ha coniato per questo progetto, “dove natura e uomo sono uniti in una simbiosi d’amore, propulsiva e non stagnante, fraterna, legata nello stesso destino”.
Dalla storia di Marta, che a 92 anni, “nella pancia delle Orte, la baia ancora selvaggia fra la Palascia e Otranto”,